Non è difficile condividere il parere di Joseph Ratzinger
che già negli anni 70 parlava di una «crisi della predicazione». Basterebbe
vedere la poca affluenza alle nostre liturgie (ma anche conferenze e iniziative
formative). Parlo in modo particolare del mondo occidentale. Basterebbe anche
osservare la poca partecipazione dei presenti durante il momento, spesso
faticoso, dell'omelia.
Joseph Ratzinger, allora docente a Regensburg, scrive che «la
via che conduce dal dogma alla predicazione è divenuta molto faticosa. Non
esistono più modelli di pensiero e di opinione atti a trasferire il contenuto
del dogma nella vita di ogni giorno; ma si pretende troppo dal singolo
predicatore, se si esige debba ripercorrere personalmente, di volta in volta,
tutto il cammino che va dalla formulazione del dogma al suo nucleo h, da qui,
di nuovo al linguaggio del tempo presente».
In altre parole, l’autore puntualizza l’innegabile fatica di
coniugare predicazione e dogma, tema che dà il titolo al volume Dogma e predicazione di recente ristampa per i tipi della Queriniana.
Cosa fare in questo contesto difficile? La tentazione
sarebbe quella di lasciare completamente da parte il dogma per dedicarsi a
tematiche con maggiore appeal. La storia, però, smentisce l'efficienza di una
tale ipotesi. Per argomentare l'inefficienza di una tale scelta, Ratzinger
riporta lo sbriciolamento delle infelici esperienze della teologia liberale.
Per non dare una risposta affrettata, Ratzinger ripercorre il
significato nell’annuncio e della predicazione nell’AT e nel NT. Analizzando la
teologia dell'Antico Testamento, Ratzinger nota che l'esperienza della
salvifica potenza di Dio spinge alla predicazione, alla trasmissione. Non la si
può conservare esclusivamente per sé perché è una grande fortuna. Essa spinge
all'espressione di gratitudine, che si concretizza nella forma dell'annuncio. La
predicazione, intesa come espressione di gratitudine (eucaristia), è connessa
qui ad un adorazione di Dio.
Con l'avvento del Nuovo Testamento, la Chiesa diventa il luogo
della predicazione, nel duplice aspetto di «una fondazione già avvenuta di una
fondazione che deve avvenire». È qui la base dell'intima apertura e della
dinamica della predicazione, come pure della sua definitività e della sua
sicurezza.
La Chiesa non può disporre della parola di Dio come vuole e
non può nemmeno accantonarla: «La chiesa non è essa stessa parola di Dio, ma la
riceve. In tal modo, la parola di Dio è qualcosa che sta di fronte alla Chiesa,
è ciò che ne forma, in maniera sempre nuova, la possibilità di esistenza; ma
contemporaneamente anche un istanza critica per la Chiesa nella sua concreta
forma di esistenza, elemento critico a tutti i livelli, il tribunale cioè
secondo il quale la Chiesa deve giudicarsi e in base al quale deve mutarsi».
In questo senso, la Chiesa si trova anche nella sua
predicazione sotto la parola di Dio. Ratzinger evidenzia, infatti, che il primo
criterio di ogni predicazione è la sacra scrittura, nella stretta unità di
Antico e Nuovo Testamento. I criteri conseguenti della predicazione sono: le
professioni di fede, nelle quali tutta la chiesa ha espresso in forma
obbligatoria la sua fede; le definizioni dogmatiche, che completano appunto le professioni,
in un ordine conforme alla gerarchia veritatum; il magistero vivente
della chiesa viva; la fede concreta della Chiesa nelle sue comunità .
Ratzinger va anche oltre una semplificazione della
predicazione verso il cristocentrismo partendo da un dato chiarissimo nel Nuovo
Testamento dove la predicazione di Gesù non era cristocentrica, ma si è
incentrata tutta sull' annuncio della prossimità della Signoria e del regno di
Dio. In questo senso, Ratzinger afferma che «un cristocentrismo ha senso solo
se riconosce in Gesù il Cristo, se è teocentrismo. Ciò significa, al tempo
stesso, che Calcedonia, la formulazione classica della filiazione Divina di
gesù, rimane anche per la predicazione e per la pietà la piattaforma
necessaria, in base alla quale tutto si decide». Il cristocentrismo, in altre
parole, deve guardare a Gesù allo stesso tempo come vero uomo e vero Dio.
Ratzinger specifica, inoltre, che se si deve predicare Dio
partendo da Cristo e Cristo partendo da Dio, ciò vuol dire che Dio deve essere
predicato trinitariamente.
Il secondo capitolo del libro percorre diverse tematiche
basilari della predicazione partendo dalla questione di Dio (e dell'uomo di
oggi di fronte al problema di Dio), di Gesù Cristo, della creazione-grazia-mondo,
della Chiesa, e dell’escatologia.
Il terzo capitolo, invece, raccoglie alcune meditazioni e
prediche di Ratzinger suddivise in due parti fondamentali: la prima parte
riguarda il mistero di Cristo; la seconda parte riguarda due feste mariane, una
meditazione nella festa di Sant'Agostino e una meditazione nel giorno della
messa novella.
In questi capitoli, restando fedele all’impostazione
dogmatica imprescindibile della predicazione, Ratzinger manifesta l'attenzione all'altra
faccia della medaglia nell'esercizio della predicazione ovvero quello
dell'attenzione al volto comunicativo e umano. A questo riguardo, osserva il
teologo bavarese: «La crisi della predicazione cristiana, che da un secolo sperimentiamo
in misura crescente, dipende in non piccola parte dal fatto che le risposte
cristiane trascurano gli interrogativi dell'uomo. […] Perciò è una componente
essenziale della predicazione stessa il prendere parte alla ricerca dell'uomo,
Perché solo così la parola (Wort) può farsi risposta (Ant-wort) ».
Detto brevemente, la tesi fondamentale del libro è quella di
non tralasciare nessuna delle due componenti fondamentali della predicazione:
né il fondamento teologico, il dogma; né il fondamento antropologico, ovvero
quello dell’interesse umano dell’annuncio. La predicazione rimane un carisma
dai tratti calcedonesi: attenzione simultanea al divino e all’umano.
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