Il libro dei Salmi, all'interno del canone biblico, riveste
una importanza particolare. Esso è, per cominciare, il libro in cui la parola
di Dio si fa preghiera dell'uomo. Accanto a questo elemento immanente alla
natura del testo biblico, abbiamo il peso particolare che riveste il libro dei
salmi nella preghiera liturgica della Chiesa nota come «l'ufficio delle ore».
In questo libro, oltre alle bellissime elevazioni dell'anima,
abbiamo preghiere che assumono toni violenti, abbiamo – per dirlo con il titolo
del libro di André Wénin – «Salmi censurati». Ricordiamo in questo contesto una
frase di Molière nel suo Tartufo: «Coprite questo Salmo che io non posso
vedere. Da oggetti del genere le anime sono ferite e questo suscita pensieri
colpevoli».
Come capire questi salmi? Come fare proprie preghiere in cui
si pensa che Dio venga coinvolto dall'uomo nel realizzare le sue vendette?
Un primo tentativo può essere quello di censurare questi
salmi e di non includerli nella preghiera di una chiesa abituata solo al linguaggio
lenitivo della Scrittura. È una tentazione marcionista. La proposta di Marcione,
appunto, fu quella di escludere dalla Bibbia cristiana, non solo dell'Antico
Testamento ma anche dal Nuovo Testamento, tutto ciò che risultava vicino
all'immagine del dio vendicativo che secondo Marcione non è il Dio di Gesù
Cristo.
Se non si è alla ricerca di risposte facili e a monosillabi,
la sensibile risposta dell'autore potrebbe aiutare ad allargare gli orizzonti
cogliendo la portata di questi testi che non sono solo e semplicemente parte
della pedagogia e della progressiva automanifestazione divina culminantesi in
Cristo.
La prospettiva dell'autore è diversa ed essa punta a
precisare, «a partire da uno studio letterario del carme, le caratteristiche
della voce che vi risuona, il suo modo di presentare la situazione e gli altri
personaggi coinvolti, il suo modo di percepirsi nella sua sofferenza e nella
sua impotenza, il tipo di relazione che questa voce intrattiene con il Dio verso
il quale sale, ciò che essa teme, ciò che attende, eccetera».
La lettura dell'autore, in altri termini, mette temporaneamente
tra parentesi il fatto che sono testi destinati alla preghiera e proposti come
tale ai credenti, con la convinzione che la prima domanda da farsi non è «come
pregare questi testi», bensì «che cosa dicano e come comprendere ciò che dicono».
Ne risulta un testo che sfida le nostre precomprensioni e ci
spinga ad andare a fondo della riflessione per osar dire che anche questa è
«parola di Dio».
Giusto per far trapelare alcune delle intuizioni dell’autore,
metto a chiusura di questa presentazione un paragrafo del capitolo conclusivo
del libro di Wénin: «Una collega alla quale parlavo del contenuto di questo libro
quando ero ormai sul punto di concluderlo mi raccontava a che cosa la facevano
pensare questi scoppi vendicativi e violenti che si leggono nel salterio.
Quando un avvenimento della giornata l’ha fatta arrabbiare, appena rientrata a
casa, lo racconta al marito dando libero sfogo a tutto il suo risentimento e
alla sua collega verso quelle persone. Pur avendo la sensazione di essere
eccesiva e anche ingiusta, si lascia andare, come spinta da una forza imperiosa
e irrefrenabile a far uscire tutto ciò che ribolle in lei, mentre il marito l’ascolta
in silenzio. Aggiungeva: ci si può sfogare in questo modo solo davanti a
persone in cui si ha una totale fiducia. E avendo trovato un luogo per farlo,
in seguito ci si può collocare a distanza, dialogare per cercare di
comprendere, per vedere come reagire correttamente e così ritrovare serenità . Concludeva:
quale fiducia in Dio devono avere questi oranti per lasciarsi andare davanti a
lui a tali indignazioni, senza timore di vedersi giudicarti per questo eccesso
di collera, persino di ingiustizia, senza paura di essere incompresi o rifiutati».
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