Il mondo digitale contemporaneo si divide grossomodo in tre
categorie:
- I tardivi digitali, una razza di persone che vivevano
tranquillamente prima dell’arrivo del digitale, il cui arrivo non li ha visti
particolarmente coinvolti o interessati ed i quali si sentono ora – chi più,
chi meno – alieni rispetto a questo mondo pauroso e spaventoso. Infatti, alla
fine della galassia dei tardivi troviamo la categoria degli alieni digitali.
- Un’altra categoria è quella degli immigrati digitali. È un
termine reso famoso nel 2005 da Rupert Murdoch il quale si è definito egli
stesso come immigrato digitale perché è nato in un’epoca pre-digitale, tuttavia
si è trovato a doversi inserire in quest’epoca per potersi giostrare meglio e guadagnare
grazie alle opportunità offerte da questa rivoluzione.
- La terza categoria è quella dei nativi digitali. Questi
hanno una naturale dimestichezza con tutto ciò che è digitale. Ciò che è cinese
o arabo per le altre categorie, per loro è la loro lingua. I «mobile born» sono
quelli che hanno incontrato il digitale in contemporanea con il biberon.
Ora, come è facile dedurre. Tanti genitori si trovano a casa
un nativo digitale, mentre loro – alla meglio – sono immigrati digitali e la
sfida che si pone è quella facile degli estremi: o di canonizzare il digitale o
di demonizzare. Da qui il titolo del testo fluido e ricco di Luigi Ballerini, Né dinosauri né ingenui. Educare i figli nell’era digitale, edito dalla San
Paolo.
L’autore analizza – come già fa intuire il titolo – gli
atteggiamenti che, come genitori ed educatori, possiamo avere verso il digitale
offrendo un’analisi snella e moderata di cosa ci ha fatto il digitale in bene e
in male.
La sua analisi attraversa vari fenomeni che non esistevano
in questa forma specifica prima del digitale. Ne elenco solo alcuni: il
cyberbullismo, la impersonation, la exclusion, il sexting.
Mi è piaciuta nell’analisi lo snocciolamento che l’autore fa
di alcune “promesse” che internet ci fa e che ci tengono legati ad esso. Non
solo i ragazzi, infatti, ma anche gli adulti soffrono in grandi percentuali di
dipendenza da internet e dal digitale. D’altronde, «gli schermi sono voraci.
Sono abilissimi a mangiarci il tempo e le attenzioni senza che (quasi) ce ne
accorgiamo» (p. 126). Non di rado, il cellulare diventa «una specie di protesi
biologica, un prolungamento del proprio braccio o un’estensione neuronale
tramite una connessione perpetua e inesauribile» (p. 103).
La funzione di «anti-noia» del digitale si collega secondo
Ballerini a quattro promesse:
- Puoi sempre essere
altrove. (Anche se questa promessa rischia facilmente di diventare una condanna…
e di essere da nessuna parte).
- Hai degli ascoltatori automatici. Il web ci dà l’illusione
di un audience perenne e snatura la fatica necessaria del dialogo, dell’ascolto
e dell’incontro reale.
- Non sarai mai solo. Trovi sempre qualcuno di connesso e ti
puoi illudere di avere migliaia di amici e forse anche una fidanzata, per il
semplice fatto che vi scambiate messaggi affettuosi in una chat privata.
- Puoi essere chi vuoi. La creazione di una “second life”,
pur senza partecipare a giochi di realtà virtuale, attraverso la trasmissione
di una immagine di sé forse più simpatica, più sexy, più grande o più piccola,
più sana o più malata.
Tutte queste promesse sono rischiose perché non hanno un
piede nel reale, anzi, non fanno altro che rendere il reale più difficile da
vivere perché meno “a misura” della propria immaginazione.
La sfida del virtuale – penso sia questo un messaggio
potente dell’autore – si vince con il reale. Allora la sfida educativa passa,
sì, per un moderato ed oculato uso del digitale, ma passa anche per il recupero
di una vita sociale, che passa anche attraverso piccoli accorgimenti, come il
non vivere la casa come un museo da custodire pulito e immacolato, ma come
luogo di socializzazione e incontro.
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