«Un giorno il sentimento
amoroso potrà essere talmente intenso da implicare più persone alla volta […]
il poliamore, in cui ciascuno potrà avere più partner sessuali distinti; la
polifamiglia, in cui ciascuno apparterrà a più famiglie; la polifedeltà , in cui
ciascuno sarà fedele a tutti i membri di un gruppo dalle sessualità multiple».
Queste parole non sono di un sofista o di un edonista epicureo (che tra l’altro
non avrebbero mai toccato questi temi con cotanta leggerezza), ma le fantasticherie
(profezie?) di Jacques Attali, economista ed ex consigliere di Mitterand,
nonché padrino politico dell’attuale presidente francese Macron.
Non so a voi, ma fatico a
comprendere il concetto di polifedeltà che mi sembra assolutamente inconsistente
con la definizione fondamentale di fedeltà quale dedizione totale a un altro. Senza
menzionare che fatico a concepire un amore sessuale, che nella sua essenza più
pura, è dedizione totale – corpo, anima e spirito – a un altro come poliamore.
Ebbene, non tutti la
pensano così e che qualcuno veda nel poliamore e nella polifedeltà un’auspicabile
evoluzione dei valori dell’uomo è già segnale di due orientamenti valoriali e
antropologici che non si incontrano, anzi, che vanno in direzioni opposte.
Il volume di Marco
Scicchitano e Giuliano Guzzo, Restare umani. Sette sfide per non rimanereschiacciati dalla tecnologia, si sofferma su sette aree valoriali critiche
e cruciali della nostra epoca. Le sette aree spaziano dall’inizio della vita
umana (Generazione e nascita) fino al suo tramonto con la morte. Le cinque
soste in mezzo a questi due poli sono: l’identità di genere (maschile e
femminile), la sessualità , l’aborto e la selezione genetica, il cyborg e la
realtà sociale e politica dell’uomo da discernersi come cittadino o
consumatore.
Il libro parte dal presupposto
che il progresso non è eticamente neutro e che «l’uomo può creare sapere e
tecniche che possono rivelarsi dannosi per il vivere, e il pericolo che questa
accada è tanto reale quanto più il progresso è rapido e non consente tempi di
riflessione». Per questo, gli autori (uno psichiatra e uno sociologo) si
soffermano ad analizzare le implicazioni delle sette impellenti sfide sopra
elencate.
Mi vengono in mente le parole di C.S. Lewis nel suo Mere Christianity: «Tutti vogliamo il progresso. Ma il progresso significa avvicinarsi al luogo dove vuoi essere. Se sei sulla strada sbagliata, il progresso significa fare una svolta e tornare indietro sulla strada giusta: in tal caso, l'uomo che torna indietro più presto è il più progressista». Da qui, gli spunti degli autori, arricchiti dalle prospettive particolari di ognuno, sono uno stimolo per ripensare l’umano, per ritornare umano, per restare umani.
Siccome lo sviluppo vero è la traduzione dell'umanità dell'uomo nella sua essenza (e non il suo mutamento in ciò che tradisce l'umano), penso che i criteri etici sottolineati da Benedetto XVI nella Caritas in veritate siano un must nel discernimento del vero progresso umano: «Chiave dello sviluppo è un'intelligenza in grado di pensare la tecnica e di cogliere il senso pienamente umano del fare dell'uomo, nell'orizzonte di senso della persona presa nella globalità del suo essere. Anche quando opera mediante un satellite o un impulso elettronico a distanza, il suo agire rimane sempre umano, espressione di libertà responsabile. La tecnica attrae fortemente l'uomo, perché lo sottrae alle limitazioni fisiche e ne allarga l'orizzonte. Ma la libertà umana è propriamente se stessa solo quando risponde al fascino della tecnica con decisioni che siano frutto di responsabilità morale. Di qui, l'urgenza di una formazione alla responsabilità etica nell'uso della tecnica. A partire dal fascino che la tecnica esercita sull'essere umano, si deve recuperare il senso vero della libertà , che non consiste nell'ebbrezza di una totale autonomia, ma nella risposta all'appello dell'essere, a cominciare dall'essere che siamo noi stessi».
Mi vengono in mente le parole di C.S. Lewis nel suo Mere Christianity: «Tutti vogliamo il progresso. Ma il progresso significa avvicinarsi al luogo dove vuoi essere. Se sei sulla strada sbagliata, il progresso significa fare una svolta e tornare indietro sulla strada giusta: in tal caso, l'uomo che torna indietro più presto è il più progressista». Da qui, gli spunti degli autori, arricchiti dalle prospettive particolari di ognuno, sono uno stimolo per ripensare l’umano, per ritornare umano, per restare umani.
Siccome lo sviluppo vero è la traduzione dell'umanità dell'uomo nella sua essenza (e non il suo mutamento in ciò che tradisce l'umano), penso che i criteri etici sottolineati da Benedetto XVI nella Caritas in veritate siano un must nel discernimento del vero progresso umano: «Chiave dello sviluppo è un'intelligenza in grado di pensare la tecnica e di cogliere il senso pienamente umano del fare dell'uomo, nell'orizzonte di senso della persona presa nella globalità del suo essere. Anche quando opera mediante un satellite o un impulso elettronico a distanza, il suo agire rimane sempre umano, espressione di libertà responsabile. La tecnica attrae fortemente l'uomo, perché lo sottrae alle limitazioni fisiche e ne allarga l'orizzonte. Ma la libertà umana è propriamente se stessa solo quando risponde al fascino della tecnica con decisioni che siano frutto di responsabilità morale. Di qui, l'urgenza di una formazione alla responsabilità etica nell'uso della tecnica. A partire dal fascino che la tecnica esercita sull'essere umano, si deve recuperare il senso vero della libertà , che non consiste nell'ebbrezza di una totale autonomia, ma nella risposta all'appello dell'essere, a cominciare dall'essere che siamo noi stessi».
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