Fino a che punto gli sposi sono chiamati alla mistica? E sono chiamati ad essa come persone singole o nel loro noi coniugale? In che modo la categoria di “mistica” può essere applicata all’esperienza intima degli sposi cristiani?
La tradizione cristiana si è abbondantemente occupata di mistica, ma tale esperienza è stata sovente – se non esclusivamente – declinata in chiave del rapporto del singolo con il Signore. L’immagine nuziale di coppia costituisce in tale mistica l’analogia più espressiva, ma il paradosso che la coppia in sé non è stato mai vista come destinataria e come protagonista dell’esperienza mistica con il Signore. Ce lo segnala un’autorità in ambito di teologia nuziale, don Carlo Rocchetta, nel suo recente libro La mistica dell’intimitànuziale. Crescere nella grazia del sacramento: «La tradizione cristiana si è occupata moltissimo della mistica in generale, così come delle nozze mistiche tra Dio e l’anima, e si è dilungata sull’esperienza mistica tipica di santi e sante, utilizzando l’immagine della nuzialità di coppia in riferimento all’unione con l’assoluto, ma non ha mai fatto – a mia conoscenza – il contrario».



L’intento del libro di Rocchetta è quella di riferirsi all’esperienza dei mistici per leggere l’intimità nuziale come accadimento di ordine mistico. La sfida che l’A. affronta è quella di mostrare che non solo non c’è una opposizione tra mistica e intimità nuziale, ma, al contrario, una profonda continuità, fino a poter affermare che l’intimità coniugale, vissuta secondo il progetto di Dio, rappresenta «una via di realizzazione della vocazione degli sposi alla santità».
Intimità nuziale non significa semplicemente “fare sesso” quasi che l’unione sessuale sia riducibile a un “agire”, e non a un incontro da cuore a cuore. L’intimità – spiega Rocchetta – presuppone il superamento di due opposti pericoli: il materialismo sessuale e lo spiritualismo asessuato.
La tenerezza dona alla sessualità la sua dimensione di gratuità e quindi la umanizza aprendo gli occhi al riconoscimento dell’altro e alla riconoscenza per la sua presenza. Vissuta in questo livello umano e umanizzante, l’unione sessuale diventa per gli sposi «via di crescita nella vita della grazia. È il “mistero nuziale”. Il valore dell’unione dei corpi è espresso nelle parole del consenso, dove i coniugi si sono accolti e si sono donati reciprocamente per condividere tutta la vita» (Amoris laetitia 74).
San Giovanni Paolo II spiega che grazie al sacramento delle nozze, l’amore umano viene elevato a carità teologale (cf. Familiaris consortio 13). La presenza dello Spirito Santo, effuso sugli sposi nella celebrazione del sacramento, non viene sovrapposta alla realtà storica della coppia e del loro amore, ma diventa «anima del loro incontro d’amore». Il Catechismo si esprime così: «Nell'epiclesi di questo sacramento gli sposi ricevono lo Spirito Santo come Comunione di amore di Cristo e della Chiesa [Cf Ef 5,32 ]. E' lui il sigillo della loro alleanza, la sorgente sempre offerta del loro amore, la forza in cui si rinnoverà la loro fedeltà» (n. 1624).


Tutti i gesti degli sposi possono diventare spazio per sperimentare la presenza mistica del Signore risorto. «La Trinità – scrive papa Francesco – è presente nel tempio della comunione matrimoniale» (AL 314). Non a caso, la liturgia antica prevedeva la benedizione della camera degli sposi e del letto. Il rito nuziale, infatti, era tripartito e prevedeva: il fidanzamento (lo scambio degli anelli), il rito delle nozze (con il simbolo della velatio e l’invocazione dello Spirito), e la benedizione del talamo nuziale.
Rocchetta lamenta giustamente che il Nuovo Benedizionale pubblicato nel 1984, così ricco di benedizioni per ogni realtà, risulta purtroppo privo di formule di benedizione del talamo nuziale.
Se la famiglia è una piccola Chiesa nella grande Chiesa, il letto nuziale rappresenta «l’altra nel quale gli sposi celebrano il loro matrimonio». Amandosi intimamente, gli sposi celebrano il «grande mistero». La loro gestualità intima è parte degli atti di ordine sacro. Un visionario in materia, padre Enrico Mauri, si chiedeva già, oltre mezzo secolo fa, sul «perché non pensare al talamo come a un altare, non per divinizzare i piaceri dei sensi, ma per santificarli?».
Ogni coniuge è chiamato ad essere per altro spazio e strumento mistico in quanto «ogni coniuge vive l’intima con Dio, Amore infinito, attraverso l’intimità con l’latro coniuge. Entrambi gustano la tenerezza di Dio attraverso la tenerezza del coniuge e scoprono Dio nel cuore del coniuge».



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