Prendiamo un’apparentemente innocua parabola di Gesù, quella
del buon samaritano. In pochi versetti abbiamo in realtà un mondo di
interrogativi che vanno al di là del teologico. Com’è la strada tra Gerusalemme
e Gerico? Quanto è ripida? Come era quanto a sicurezza quella zona ai tempi di
Gesù? Poi, chi sono i samaritani? Perché lo scriba e il sacerdote che stanno
salendo verso Gerusalemme non aiutano il malcapitato? Sono solo cattivi,
insensibili, o ci sono ragioni rituali dietro?
Queste e tante altre domande sorgono in chi legge il testo
con il cervello non annebbiato dall’abitudine e se si guarda al breve testo
della parabola, tanti dati sono presi per scontato. C’è una distanza temporale,
geografica, culturale, di usi, riti e tradizioni che rende questi testi,
apparentemente semplici, lontani anni luce da noi.
Uno potrebbe argomentare che basterebbe cogliere il
messaggio “spirituale”. Ma il messaggio spirituale non può essere colto, almeno
non da qualsiasi passo, senza una vera comprensione del senso letterale. Per
questo, l’incontro con il testo sacro richiede una mediazione culturale che
tenga conto di tutto il contorno che accompagna il messaggio
teologico-spirituale.
Ricoeur ha sottolineato la distanza inevitabile che si
instaura tra un testo – qualsiasi testo – e il suo lettore. Tale distanza
diventa più grande se il testo è antico. Questo vale anche per la Bibbia. Da
qui la preziosità del contributo di John Rogerson e Philip Davies nel loro
volume Il mondo dell’Antico Testamento. Gli autori mettono a frutto un
tratto caratteristico di molto autori in ambito religioso dell’aria
anglosassone: la fluidità dell’espressione abbinata alla ricchezza dei
contenuti. Il volume, tradotto per i tipi della Queriniana, scorre facilmente e
piacevolmente nonostante il fatto che sia di circa 400 pagine. Dentro quello
spazio troviamo risposte chiare a tante delle domande che accompagnano il
lettore del testo sacro, domande non poste dall’autore che viveva in quel mondo
e scriveva a gente che non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni su quel mondo
e sui suoi usi e costumi.
Oltre a presentarci l’ambiente geografico delle vicende bibliche,
gli autori ci presentano il contesto culturale in cui visse l’antico Israele
rendendoci più familiari popoli di cui a volte si fatica a pronunciare i nomi,
tra cui gli amorriti, i fenici, i filistei, gli ammoniti, i moabiti, gli edomiti,
i madianiti, gli aramei, gli hittiti, gli assiri, gli egiziani. Ci presentano
anche i tratti salienti delle tradizioni religiose che circondavano Israele.
Dopo l’ambientazione geo-politica, gli autori presentano le
varie fasi dello sviluppo della religione di Israele con una concentrazione
particolare sull’epoca davidica e salomonica e il periodo intorno all’esilio e
progressivamente fino all’epoca di Erode il tetrarca.
La terza e la quarta parte del libro potrebbero essere considerate
un’introduzione alle scritture di Israele dove nella prima si presentano i vari
tipi dei testi sacri di Israele. La quarta parte è dedicata a quello che
possiamo chiamare la formazione del canone giudaico.
Robert Cheaib
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