«Alla radice di tutto sta l’atto col quale accetto me
stesso, acconsento ad essere quel che sono, avere le qualità che ho, stare nei
limiti tracciati. Ciò non significa rinuncia alla tensione verso l’altro», così
scriveva Romano Guardini nel suo accettare se stessi. E forse questa
citazione esprime la lunghezza d’onda del lavoro dello psicologo Claudio Risé
nel libro La scoperta di sé che si propone di proseguire il percorso,
iniziato già il secolo scorso da Carl Gustav Jung con il nome «processo di
individuazione».
Tale percorso, è svolto da Risé in dialogo con figure,
immagini e tracciati che, prima di appartenere alla psicologia, appartengono al
teatro, ai riti e ai racconti religiosi, alle arti, alle narrazioni mitiche e
romanzesche dell’umanità.
Il processo di realizzazione di sé non consiste nel
raggiungimento di uno stato di quiete (tombale). I saggi dell’antichità ci
insegnano che il fine dell’uomo non è una imperturbabile pace, ma la scoperta e
l’esplorazione dei potenziali di bellezza e di bontà insiti nella vita. Scrive
Epicarmo nel frammento 297: «Non considererò mai beato chi avendo una vita
immune da disgrazie non si curi di dar nulla di bello e buono alla sua anima».
Lo strumento della scoperta di sé è l’esame di sé. «Ognuno
di noi ha bisogno di esercitarsi – scrive Galeno – per quasi tutta la vita, per
diventare un uomo perfetto». Esercitarsi ed esaminarsi vanno insieme perché «la
vita senza esame è indegna di un uomo» (Socrate).
Esaminarsi richiede allora una specie di “conversione” di
ritorno a sé. Spiega l’autore che «la conversione verso l’interno della
personalità, l’inconscio, ci mette di fronte all’irregolarità, al caos, di ciò
che vi accade. Del resto è proprio per non riconoscere e confrontarci con
questo caos che di solito, invece di guardare dentro di noi, guardiamo fuori,
all’apparente ‘ordine’ del mondo e del conscio collettivo».
La nostra esaminazione passa per il confronto con gli
archetipi che accompagnano la nostra esistenza. All’inizio c’è la mamma, più
tardi il papà ed è identificandosi con loro che inizia la nostra comunicazione
con il mondo. «L’identificazione è il processo psicologico attraverso il quale
un individuo assimila aspetti e qualità dell’altro che prende a modello. Ogni
personalità si costituisce attraverso una serie di identificazioni. La prima
identificazione è quella con la madre». Jung nota che questo è «il primo modo
di costituzione del soggetto sul modello dell’altro. È per questo che l’emancipazione
del figlio e la separazione dalla madre rappresentano una svolta evolutiva
tanto importante quanto delicata».
Il problema dell’identificazione, come nota Risé, non è
quello del suo costituirsi, ma quello del suo de-costituirsi. L’identificazione
ci deresponsabilizza e ci regala un mondo più facile perché già vissuto e
programmato da altri. Per questo, il passaggio da una figura di identificazione
a un’altra passa per certi “traumi” salvifici, attraverso altre
identificazioni, come quello che avviene con la figura paterna. Il padre ha la
priorità nel processo di autorizzazione dello smontamento dell’identificazione
con la figura materna, sia la promozione della successiva identificazione. E
qui, l’assenza e l’esilio della figura paterna costituisce una delle aporie e
dei drammi della nostra epoca. Da qui l’importanza degli interrogativi che Risé
pone e ci invita a porci per riscoprire la forza e la sanità del processo della
scoperta di sé.
Robert Cheaib
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