In un tempo in cui i libri vengono pubblicati ma raramente
riediti, tranne in alcuni casi fortunati, risulta significativo che le Edizioni
San Paolo ripubblichino un testo a 30 anni dalla scomparsa del loro autore. Si
tratta del libro Il mistero cristiano di don Natale Bussi.
La scelta oculata dell’editore è anche una scelta meritata
perché il volume di Bussi, pur essendo relativamente snello, costituisce una
densa concentrazione dell’essenziale del cristianesimo sulla stregua di opere preziose
come Essenza del cristianesimo di Romano Guardini o Introduzione alcristianesimo di Joseph Ratzinger. Sebbene l’approccio e il contenuto
diverga dal contenuto delle appena menzionate opere, il volume di don Bussi
esprime uno sguardo sintetico del cristianesimo non soltanto quanto ai
contenuti, ma anche quanto alla convergenza necessitata dal metodo di approccio
al cristianesimo. Testimoniano i suoi alunni che Bussi «ha insegnato che la
teologia ha come approdo naturale la mistica, l’incontro, nella fede, con il
Cristo risorto e vivo». È di questa convergenza che parlo, convergenza che
supera lo iato, denunciato da Hans Urs von Balthasar tra teologia e santità,
iato denunciato come “divorzio” dal teologo svizzero, come da altri teologi più
recenti (cf. Paolo Martinelli).
Nella premessa all’opera Battista Galvagno offre uno
squarcio per capire il senso dell’opera di Bussi: «In quanto mistero, Cristo
non può essere colto solo da un punto di vista intellettuale o teologico. Il mistero
si coglie dall’interno, per partecipazione, per condivisione. Conoscere Cristo
è come conoscere una persona: è utile sapere la sua storia, afferrare i punti
nodali del suo pensiero, ma tutto questo ha senso se si arriva all’incontro
personale profondo, alla fusione dei cuori, a quella che Bussi chiama “comunione”».
Oltre a questo paragrafo che cogliere l’essenza del libro
del Bussi, giova includere in questa “passeggiata” nel libro, alcuni dei
significati di mistero che Bussi utilizza mentre guarda al tutto della realtà
cristiana:
Mistero si riferisce a Dio in quanto Dio si rivela,
lo fa in Cristo, mostrando il mistero – ovvero il piano, il benevolo progetto –
della sua volontà circa l’uomo e il mondo (cf. Ef 1,9).
Mistero si riferisce alla fede (cf. 1Tm 3,9) perché
costituisce l’oggetto della fede, ovvero ciò che si conosce non già con i sensi
o con la ragione, ma con la relazione di fede e di fiducia che si instaura tra
il Dio che si rivela e l’uomo che accetta e accoglie l’incontro.
Mistero si dice della pietà (1Tm 3,16) perché in esso
Dio manifesta la sua pietà e misericordia verso l’uomo peccatore.
Mistero si dice, poi, del vangelo (Ef 6,19) perché
costituisce l’oggetto o contenuto del lieto annuncio, della predicazione.
Un tratto che sicuramente rende unica e preziosa l’analisi
del Bussi è quella di offrire varie griglie per leggere il mistero e coglierne
la ricchezza. Queste strutture, lungi dall’escludersi a vicenda, risultano
complementari. L’analogia presentata dallo stesso a. è azzeccata. Egli dice che
«il teologo è un uomo che, girando sempre attorno a uno stesso monte e
osservando ora un lato ora l’altro, invita gli altri uomini a compiere
altrettanto e a farsene mostrare la bellezza.
Il fine di tutte le strutture è quello dell’unione-comunione
tra Dio e l’uomo. In ognuna, infatti, Dio si dona all’uomo e l’uomo è chiamato
a sua volta a donarsi nuzialmente a Dio. Ma ogni struttura accentua un aspetto
di più dell’inesauribile mistero di questo incontro:
La struttura dialogica si concentra sulla dimensione dei
rapporti personali.
La struttura cristica verte ancora di più al centro
cristologico del mistero.
La struttura soterica accentua la dimensione della salvezza.
La struttura ecclesiale evidenzia la dimensione comunitaria
e storica della ricezione della rivelazione.
La struttura agapica mette in luce la quintessenza del
vissuto cristiano.
La
struttura escatologica punta alla finalità, quella in cui Dio darà compimento
alla storia e sarà tutto in tutti.
Robert Cheaib
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