San Pier Damiani visse in un’epoca complessa della storia
della Chiesa, per questo motivo, la sua testimonianza, all’alba del secondo
millennio acquisisce un valore particolare, non solo a livello religioso, ma
anche a livello culturale e storico. L’opera del santo, edita da Città Nuova,
presenta nel volume 1/6 alcune lettere del santo rivolte a vari personaggi. Le
lettere in questione sono dalla 113 alla 150 e si rivolgono a svariate persone
(e personalità che vanno dal nipote Damiano al papa Alessandro II, dal fratello
Damiano a Ugo abate di Cluny, dagli eremiti Ambrogio e Liupardo all’imperatrice
Agnese e il re Enrico IV, per fare solo alcuni nomi.
I vari destinatari delle lettere manifestano la fitta rete
di relazioni che Pier Damiani intratteneva mostrando un volto di santità non
distaccato dalla storia, ma inserito – in un gesto incarnato – come presenza
efficace nel mondo.
Le lettere sono di un grande valore storico per chi è
interessato all’epoca e Pier Damiani ci offre uno squarciato unico e
insostituibile. Ma in mezzo a queste lettere, per chi si interessa di teologia,
troviamo l’interessantissima trattazione di Pier Damiani dell’onnipotenza
divina. Destinatario della lettera è Desiderio, abate di Montecassino.
Il testo presentato è un testo fondamentale e programmatico nella produzione
del santo.
In questa breve presentazione giova guardare ad alcune
affermazioni fondamentali del Damiani nella suddetta lettera:
«In Dio onnipotente, pertanto, non c’è né ieri né domani,
bensì un perpetuo oggi; in lui che niente perde, niente acquista; che non
subisce variazioni di sorta e che in nulla è diverso da se stesso. Quell’oggi è
la sua eternità immutabile, indefettibile, inaccessibile; alla quale, cioè,
nulla si può aggiungere, mentre, insieme, in nulla può essere diminuita; e
tutto ciò che per noi scorre dileguandosi o varia col mutar dei tempi, in quell’oggi
resta stabile e perdura immutabile. In quell’oggi, cioè, resta ancora
immutabilmente presente quel giorno in cui questo mondo ebbe origine ed è già
presente, parimenti, quel giorno in cui questo mondo stesso sarà giudicato
dalla giustizia dell’eterno Giudice. Né in questa luce, che senza accrescimento
illumina ciò che ha scelto di illuminare e senza diminuzione abbandona ciò che
ha scelto di non illuminare, accade qualche difetto di mutabilità, perché,
restando immutabile in se stessa, dispone tutte le cose mutevoli, e ha creato
le cose in se stesse transeunti in modo tale che ciò che ha creato presso di sé
non possa mai venir meno. Il tempo stesso, che scorre al di fuori di noi
attraverso le cose esteriori, passa all’interno del suo sguardo. Avviene quindi
che nella sua eternità permangono ferme tutte quelle cose che fuori di lui il
susseguirsi dei secoli produce senza posa in continua evoluzione. Un sol
giorno, pertanto, è per Dio la sua eternità; e come questo giorno non abbia né
fine né inizio ben lo vede il salmista quando dice: Un sol giorno nei tuoi atri
è meglio che mille altrove».
Robert Cheaib
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