«Io non muoio: entro nella vita». Questo è stato il motivo che ha attraversato l’ultimo periodo della vita di Teresa di Lisieux. In un contesto diverso, sentiamo il teologo Dietrich Bonhoeffer che dice al capitano britannico Payne Best, suo compagni di prigionia: «È la fine; per me è l’inizio della vita». Bonhoeffer dirà queste parole come un ad-Dio, accogliendo l’ultima chiamata – che interrompe un servizio liturgico che stava tenendo ai co-prigionieri – e che lo porterà al processo nel campo di concentramento di Flossenbürg e che culminerà nell’impiccagione a soli 39 anni.
Queste due testimonianze, sono l’incipit e il respiro che accompagna il libretto Meditazionesulle realtà ultime del teologo Rosino Gibellini, già consulente letterario di Queriniana Editrice e fondatore delle due prestigiose collane Biblioteca di Teologia Contemporanea e Giornale di Teologia. La parola “meditazione” non deve ingannare il lettore. Non si tratta di una meditazione di pietà, ma pur sempre di una meditazione teologica. L’a. attraversa i contributi di alcuni dei più salienti nomi della riflessione teologica ed escatologica del XX secolo, aiutando il lettore a mettersi dinanzi ad alcuni nodi della questione escatologica.
Hans Urs von Balthasar considerava l’escatologia come il «nodo tempestoso» nella teologia contemporanea in quanto «sorgono da essa quelle tempeste che minacciano fecondamente tutto il terreno della teologia: vi fanno grandinate o la rinfrescano. Se per il liberalismo del XIX secolo poteva valere la parola di Troeltsch [1901]: “L’ufficio escatologico è quasi sempre chiuso”, questo, dalla svolta del secolo in poi, al contrario fa ore straordinarie».


I teologi del XX secolo hanno mostrato quanto il cristianesimo sia escatologico non solo in appendice, ma dall’inizio alla fine. «La pro-missio del Regno – puntualizza Jürgen Moltmann – è il fondamento della missio dell’amore per il mondo». Essi hanno anche superato la concezione dei novissimi come «fisica delle cose ultime», per usare una felice espressione di Yves M. Congar, e ricollocato nel Signore stesso, nel Cristo che viene, il cuore dell’escatologia. Egli è l’Eschatos, il fine personale e personalizzante. Balthasar aveva già sottolineato come in passato «il posto del Maràna tha era stato preso dal Dies irae». La svolta escatologica ha restituito alla riflessione il Volto.
Un altro contributo dei teologi del XX secolo è quella della restituzione dell’escatologia alla Bibbia, mentre in passato – come osserva Oscar Cullmann – si era sacrificato al Fedone il capitolo 15 della Prima lettera ai Corinzi. L’osservazione di Cullmann denuncia la riduzione della speranza cristiana a una specie di vaga speranza nell’immortalità dell’anima.
Quanto alla risurrezione dei corpi, Gisbert Greshake spiega che tale immagine «vuole esprimere che l’uomo non trova compimento solo come io spirituale fuori della storia, ma che anzi ritorna a Dio con il suo mondo e con la sua storia, con l’intera sua vita». In altre parole, la risurrezione della carne non è questione di atomi, molecole cellule e “ri-composizione”, ma di storicità, di relazionalità e di grazia. Gibellini soggiunge che «la risurrezione del corpo non è risurrezione del corpo fisico nella sua fisicità, nella sua materialità, nella sua corporalità, ma dell’essere nella sua totalità, e cioè nella sua relazionalità con il mondo e con la storia, nella sua corporeità, che non è fisicità e materialità, ma relazionalità e storicità».


Nel 2003, Moltmann, che ha dato un grande contributo alla riflessione escatologica, scisse il breve saggio: Nella fine – l’inizio. Il titolo di quest’opera riporta l’atmosfera che abbiamo evocato all’inizio con Teresina e Bonhoeffer. Il saggio, poi, elabora sinteticamente una escatologia integrale che integra appunto l’escatologia personale, l’escatologia storica e l’escatologia cosmica. Nel Credo diciamo: «attendo la risurrezione della carne». È bene comprendere e completare questa attesa con le parole con cui Moltmann risponde all’amico e filosofo marxista Ernst Bloch che non voleva una risposta evasiva alla domanda: cosa dobbiamo aspettarci dopo la morte? La risposta del teologo è illuminata e illuminante: «Noi siamo attesi».  

Robert Cheaib
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