«La figura di
Cristo può essere considerata il “battito cardiaco” della teologia giovannea»
(9). Così apre Francesco Piazzolla il suo volume Il Cristo di Giovanni. Titoli di Gesù nel quarto Vangelo, EDB.
Il testo analizza
sei titoli cristologici presenti nel Quarto Vangelo (=QV) e che manifestano la
visione cristologica dell’autore: la cristologia del Logos, la cristologia del
tempio, il Figlio dell’uomo, il buon Pastore, l’Agnello di Dio che toglie il
peccato del mondo e il titolo del Risorto ovvero l’evento della Risurrezione di
Gesù quale evento cristologico ed ecclesiale.
Queste sei
istanze si dipanano in una discontinuità contenutistica che non è frutto di un
ammasso disomogeneo, ma frutto di una tecnica retorica dell’evangelista che
elabora gradualmente il messaggio relativo alla persona di Gesù.
Cristologia
del Logos
Per quanto
riguarda la cristologia del Logos, è noto e chiaro che, rispetto alla
tradizione sinottica e neotestamentaria, «la riflessione del QV offre una fase
più evoluta, dal momento che solo qui Cristo esprime la consapevolezza di
essere il Figlio preesistente (Gv 17,5). Giovanni porta a compimento una
riflessione già abbozzata nella tradizione veterotestamentaria e giudaica.
Già
nell’AT il concetto di dabar non indica la semplice “parola”, ma esprime
qualcosa di concreto, di verbale e logico-razionale. Dabar implica l’automanifestazione
di Dio all’uomo. La cristologia del Logos è presente già nella riflessione
della comunità tanto che l’evangelista parte da un inno comunitario
preesistente e arricchisce la riflessione con le speculazioni bibliche sulla Sapienza
personificata, le tradizioni rabbiniche sulla Legge, la riflessione filosofica
del giudaismo alessandrino sul Logos creatore.
Cristologia
del tempio
Quanto alla
cristologia del tempio, Giovanni presenta un tema programmatico che attraversa
l’intera sua narrazione presentando Gesù come il nuovo e definitivo tempio di
Dio. Il Logos incarnato è il luogo privilegiato per l’incontro con Dio. In lui
si adora Dio «in Spirito e Verità». Nel Verbo incarnato abbiamo «la nuova “sede”
del tempio escatologico di Dio, il cui senso pieno si svela soprattutto nel
mistero pasquale» (44). Ciò è evidente già dagli inizi del Vangelo dove il
Logos pianta la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14 da confrontare con Sir
24,3-7). Cristo si manifesta come tempio pasquale proprio nella sua morte che
verrà vinta dalla risurrezione, della quale Gesù parla in chiave di
ricostruzione del tempio in tre giorni.
Il Figlio dell’uomo
L’espressione
alquanto diffusa nella tradizione - «Figlio dell’uomo (o uios tou anthropou)
può essere legittimamente considerata come risalente agli ipsissima verba
Iesu. L’espressione presente nelle tradizioni giudaiche contemporanee, in
Daniele e in Ezechiele, «assume valenza messianica, alla luce della teologia
dell’Inviato e in rapporto al linguaggio di giudizio che Gesù formula contro i
farisei: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro
che non vedono, vedano e quello che vedono, diventino ciechi» (Gv 9,39). Attraverso
il tema del Figlio dell’uomo, Giovanni sviluppa una dimensione specifica della
sua cristologia: la katabasi e l’anabasi. Dio si fa uomo per
elevare l’uomo a Dio.
Buon Pastore e
Agnello di Dio
Mentre i
sinottici presentano Gesù come pastore per implicare il compimento delle
immagini veterotestamentarie, il QV va oltre rielaborando la cristologia del
pastore nell’ottica della Pasqua, nel dono di vita di Cristo per il suo gregge.
La teologia dell’Agnello
di Dio, invece, approfondisce lo schema di promessa-compimento manifestando la
novità cristologica all’interno dell’antica teologia dell’espiazione.
Il Risorto
Il capitolo sulla
risurrezione di Gesù mostra come l’incontro di Gesù con le varie figure:
Maddalena, Pietro, il discepolo amato e Tommaso siano non solo un semplice
resoconto di vicende personali, ma «rappresentino un archetipo ecclesiale per
delineare la modalità dell’incontro con il Risorto oggi, evento che si attua
nella liturgia e nella celebrazione eucaristica» (127).
In breve, si nota
che il QV costituisce «un ipertesto che parte dall’ipotesto della
tradizione sinottica, della letteratura biblica e della tradizione giudaica,
per elaborare una fase più matura della cristologia neotestamentaria» (125).
Robert Cheaib
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