Proseguiamo il cammino di meditazioni quaresimali tratti dalla meditazione spirituale e teologica sulla figura di Mosè presente nel libro Oltre la morte di Dio. La fede alla prova del dubbio. Oggi parliamo di "piedi nudi"... ma dirla così è riduttivo. Vi lascio al testo.
*
«Togliti i sandali dai piedi». La sorpresa
della Presenza comporta l’esigenza della spogliazione. Non si incontra
realmente Dio se non si muore a sé, ai propri programmi, ai propri schemi
mentali, alle proprie sicurezze. «Dove appare la Shekinah, l’uomo non
può camminare con le proprie scarpe»[1].
Il bisogno – il desiderio bisognoso, se così
lo si può chiamare – porta le cose dentro di sé. Il desiderio purificato ci
porta fuori verso un’alterità. Il bisogno guarda a se stesso, il desiderio
guarda l’altro. Il bisogno consuma l’alterità, il desiderio la custodisce.
Il desiderio è ritmato dall’esodo. Più l’esodo
è totale, più il desiderio è puro. «Il desiderio non è mai tutto mio, ma è
piuttosto sempre aperto sulla figura dell’Altro e sulla sua alterità. Il
desiderio non rafforza la credenza nell’Io ma la sfilaccia, la spiazza, la
ridimensiona; è un’esperienza di indebolimento della credenza narcisistica dell’Io
come identità chiusa e autosufficiente che afferma se stessa»[2].
È qui, dinanzi alla totale alterità dell’Altro,
che gli aspetti ancora “bisognosi” del desiderio vengono purificati. I nostri
desideri ancora non raffinati cercano comunque di omologare gli altri a noi. L’ascesi
del desiderio, invece, lo educa a diventare totale disponibilità all’Altro. Il
desiderio purificato è mio, ma non è “io”, è altro, è l’Altro. «Mentre il
“bisogno” tende a qualcosa che può adeguare la sua intenzione, colmare la sua
fame, il Desiderio si caratterizza per una intenzionalità che non può essere
mai adeguata o soddisfatta»[3].
Non si tratta di demonizzare i bisogni. Come
umani, l’essere bisognosi è costitutivo della nostra natura, della nostra
capacità di amare, della nostra intenzionalità desiderante[4]. Si
tratta, però, di riconoscere continuamente la necessità di alimentare e di
custodire il lavorio del desiderio che ci porta oltre le soglie dell’assimilazione
di tutto al proprio ego e alla sua prospettiva. Tutto il lavoro della nostra
vita è il giovanneo appianare la terra, eliminare gli ostacoli del cuore per
prepararlo all’incontro con Dio. Non si riconosce Dio senza preparazione del
cuore. Dio viene dove è avvenuto un esodo. Dio dimora dove gli si fa spazio. Ci
si riveste di Dio solo spogliandosi di se stessi.
Questa
verità relazionale deve fecondare il modo razionale di ragionare su Dio, il
modo di fare teologia. Davanti al Dio che si manifesta – nelle epifanie
visibili come anche nelle epifanie insondabili e ineffabili del cuore – la
teologia positiva, ascendente, katafatica,
deve fare spazio anche alla teologia negativa, discendente, in ginocchio e apofatica. Davanti all’Amore che ci guarda,
le parole sono insufficienti, imbranate, solo la contemplazione, il ri-guardo,
l’adorazione, la bocca che beve l’amore alla bocca dell’Altro sanno dire
qualcosa del riverbero dell’incontro per eccellenza. Ritorna qui l’esigenza di
coniugare la parola con il silenzio, l’affermazione con lo stupore, perché «i concetti creano idoli, soltanto lo stupore coglie qualcosa»[5].
L’approfondimento della conoscenza teologica
deve ritornare sempre allo stupore primigenio e sorgivo dell’esperienza viva
dell’incontro con il Dio vivente. «Ad ogni posizione della teologia affermativa
corrisponde una negazione della teologia negativa. La strada della conoscenza
teologica passa per questa dialettica e arriva dove è incominciata: allo
stupore senza fondo»[6].
Togliersi i sandali è tralasciare la logica
del disporre di qualcosa per disporsi all’incontro con qualcuno: «Le cose
materiali posso indagarle da un punto di vista operativo e sottoporle a
coercizione perché mi sono sottoposte. Ma già un altro essere umano non sono in
grado di capirlo se lo tratto in quel modo. Al contrario, sono in grado di
cogliere qualcosa della sua personalità solo se inizio a immedesimarmi
empaticamente con la sua anima. Lo stesso avviene con Dio. Posso cercare Dio
solo se dismetto i panni del dominatore. Devo invece sviluppare un
atteggiamento di disponibilità, di apertura, di ricerca. Devo essere pronto ad
attendere con umiltà e a consentirgli di mostrarsi come vuole e non come io
vorrei»[7].
La voce che avverte Mosè lo richiama affinché
il suo stupore non scivoli nella mera curiosità. La curiosità vede, si informa
e passa oltre. Lo stupore guarda, si guarda dentro e si apre alla
trasformazione. La curiosità fa il turista, lo stupore crea il pellegrino dell’Eterno.
Lo stupore è preghiera e chi prega sa che non può scoperchiare l’Altro, ma può
solo scoprirsi dinanzi a Lui. Chi prega sa che non può invadere Dio, ma che può
invocare il coraggio per non evadere e la purificazione per disporsi all’invasione
divina: «Il dominio è Tuo. Liberami da tutto quel che non ha diritto di
accedere al Tuo regno»[8].
I piedi nudi sono fragili, devono fidarsi,
devono camminare con più circospezione e attenzione. I piedi nudi, però, sono
anche esposti, e proprio per questo possono recepire e percepire senza
mediazioni e senza filtri.
Nello spazio divino si entra solo a piedi nudi
in un affidamento pieno, in un riconoscimento totalizzante che solo Dio è la
roccia affidabile, solo lui il custode che non prende sonno, solo lui il bene
inesauribile, desiderio supremo dell’anima.
[1] Midrash Rabbah, Shemot II, 6.
[2] M. Recalcati, Ritratti del
desiderio, 30.
[3] G. Ferretti, Emmanuel
Levinas. Un profilo e quattro temi teologici, Queriniana, Brescia 2016, 56.
[4] Cf. C.S. Lewis, The Four Loves, Fount
Paperbacks, London 1960, 8-14.
[5] Gregorio di Nissa, La vita di Mosè II, 165.
[6] J. Moltmann, Il Dio
vivente e la pienezza della vita, 62.
[7] J. Ratzinger, Dio e il
mondo, 94.
[8] A.J. Heschel, L’uomo alla
ricerca di Dio, 18.
Robert Cheaib
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