Arriviamo alla penultima meditazione quaresimale tratta dal libro Oltre la morte di Dio. Questo paragrafo parla della preghiera come opera dell'uomo. è bene contestualizzare il testo, altrimenti risulterebbe incompiuto. Esso si inserisce subito dopo un paragrafo dedicato alla "preghiera come opera di Dio", mostrando quindi l'altra faccia della medaglia. Buon Cammino!
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La pericope di Esodo 32 ci insegna anche che
pregare è partecipare alla sorte di coloro per cui preghiamo. Non è solo fare
spazio all’opera di Dio, ma diventare spazio dell’opera di Dio. «Il vero
contenuto dell’orazione, l’autentico sacrificio che offriamo, non è la parola
che ci è chiesto di ripetere, ma la risposta a questa parola, l’esaminare il
nostro cuore, la messa in opera di quel che è in gioco quando si vuol vivere
come figli di Dio»[1].
La preghiera è espressione della debolezza
dell’uomo che diventa sua forza perché rivolgendosi all’onnipotenza di Dio
rende il Signore “debole” dinanzi alla supplica fiduciosa. «L’onnipotenza di
Dio non agisce che attraverso la debolezza dell’uomo che prega. È l’atto di
questa debolezza che supplica che sostiene il mondo, perché è la preghiera dell’uomo
che scioglie l’onnipotenza di Dio»[2].
In una delle sue omelie, Turoldo interpella l’assemblea
sul senso di elevare orazioni a Dio e spiega: «Quando diciamo: ricordati di
questo, ricordati di quell’altro portiamo tutto il peso del mondo. Ma vuol dire
anche non tanto chiedere a Lui, quanto prendere noi coscienza, questo è il
punto. Perché io so che lui sa, ma siamo noi che dobbiamo prendere coscienza!
Perché la preghiera non serve a Dio, serve a noi. La festa non è fatta per
Iddio, è fatta per noi. I Comandamenti non sono mica fatti per Iddio,
sono per noi»[3].
La preghiera è l’azione per eccellenza. È la
vera azione, perché non è tanto agire o agitarsi quanto abbandonarsi
fiduciosamente e attivamente all’azione di Dio. E quando l’uomo si abbandona
nelle mani di Dio – la storia ce lo testimonia – diventa capace di azioni
divine. «Dio c’è, e si dona a tutti: e però Dio non si eredita ma si conquista.
Si tratta di un dono che chiede di essere conquistato: come l’amore»[4]
Dio non risparmia chi si offre a lui in
preghiera, ma lo investe dei propri sogni e della propria opera. «Il Dio che ci
esaudisce non ci libera dalla responsabilità, ma ci insegna ad assumerla. Ci
induce a vivere responsabilmente ciò che ci è stato affidato come missione in
modo da non dover un giorno abbassare lo sguardo dinanzi a lui»[5].
[1] Ibid., 37.
[2] D. Barsotti, Meditazioni
sull’Esodo, 225.
[3] D.M. Turoldo, Il fuoco di
Elia profeta, 15.
[4] D.M. Turoldo, Il diavolo
sul pinnacolo, 34,
[5] J. Ratzinger, Dio e il
mondo, 33.
Robert Cheaib
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