Il testo dell’elezione di Davide è un testo bellissimo che
manifesta la differenza tra guardare e vedere. Il Signore stesso dice al
profeta Samuele che mentre l'uomo vede l'apparenza, il Signore vede il cuore.
Sant'Agostino insegna, sulla scia della lettera di Giacomo, che il Signore né
inganna né si lascia ingannare.
Le tradizioni mistiche antiche parlano nella fronte
dell'uomo di un «terzo occhio», anzi, qualche tradizione parla addirittura
dell'«occhio di Dio». È la capacità di discernimento appunto la capacità di
vedere oltre le apparenze. Il libro di Pasquale Basta riflette sul tema , Nonfare come gli ipocriti. La lotta tra essere e apparire dai Vangeli alla 1aCorinzi, edito da Città Nuova, riflette sulla grande differenza tra
apparire ed essere e le varie declinazioni del tema nei testi scelti. Scrive l’autore:
«C'è una grande differenza tra guardare e vedere. Vedere introduce nella
consapevolezza di sé e degli altri. Viceversa il semplice guardare o
addirittura il non vedere per niente conduce all'equivoco».
Limitarsi a guardare è limitarsi all'apparenza. L'autore
manifesta il nesso tra questa ossessione con il visibile e l’ipocrisia, manifestando
l'origine della parola ipocrita. «Nel teatro greco l'ipocrita era anzitutto
colui che stava sotto il palco, tutto intento a suggerire il copione da
recitare, oppure indicava l'attore chiamato a recitare una parte. Per Gesù
coloro i quali compiono opere, anche belle, davanti agli uomini soltanto per
essere ammirati, equivalgono ai teatranti. Essere ipocriti significa recitare
una parte senza che ciò corrisponda alla verità interiore. È fare scena
religiosa, di giustizia, di carità e di buone opere senza però che questo trovi
riscontro nell'intimo. Si tratta di simulatori che fanno di tutto pur di essere
guardati. Il paradosso di una simile attitudine è che si fa anche qualcosa di
buono, ma soltanto per narcisismo, per culto della propria immagine». Il grande
dimenticato in questa azione è Dio. Per questo Gesù propone il severo rimedio
del silenzio e del segreto.
L'analisi dell'autore attraversa diversi passi tra cui la
«performance sacrale» del fariseo al tempio, in contrasto con l'umile preghiera
del pubblicano. «Il pubblicano che apre le porte del suo essere a Dio,
chiedendogli come gli oranti dei Salmi di avere pietà di lui peccatore,
cancella ogni forma di empietà, perché si affida».
San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, riflette in
un'altra chiave sull'annoso tema tra essere e apparire. Attraverso una fitta
trama di argomentazioni corredate da citazioni scritturistiche, Paolo
costruisce un discorso magistrale sulla sapienza divina, che è in paradossale
opposizione con l'umana presunta sophia. La scelta di Dio non si basa sulla
sapienza umana ma sulla grazia di Dio. E l'apostolo predica non con un discorso
sapiente affinché non sia resa vana la croce di Cristo. Il merito davanti a Dio
– scrive Basta riassumendo – «consiste nell'accettare di percorrere lo spazio
dell'esempio di Cristo in croce».
La divergenza tra apparire ed essere si concretizza nella
vita dell'apostolo degli genti nel contrasto tra essere una star oppure essere
un servo. Così nel terzo capitolo di 1Cor, si riflette sull'identità dell'apostolato
e sulla sua finalità manifestando che la vera preoccupazione non deve essere
ecclesiastica, ma ecclesiale. In altre parole, non deve essere una
preoccupazione di fare cassa di seguaci, ma di costruire la comunità ecclesiale
che cammina verso il Signore.
L'attenzione oltre le apparenze verte anche sul tema della
cura dell'altro e di non scandalizzarlo con le apparenze (l'apostolo si
riferisce soprattutto alla questione del consumo di carni sacrificali offerte
in precedenza agli idoli). Basta mette la scelta di Paolo in questi termini:
«L'apostolo si accanisce fino allo stremo, anche solo per salvare qualcuno. Si
fa giudeo in mezzo ai giudei, pagano in mezzo ai pagani . Schiavo con gli
schiavi e libero con i liberi. Paolo cioè si adatta un po'. Di conseguenza
l'atteggiamento di alcuni Corinzi che non hanno nessuna capacità di adattamento
viene stigmatizzato fin nella radice».
La carità si presenta come cura della voglia di apparire. La
carità è una virtù umile che non punta alla spettacolarità ma alla comunione,
alla relazione.
Robert Cheaib
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