«Mamma, posso cucinare con te? Mi fai vedere come si fa?». La riflessione di oggi è nata da questa domanda che mia figlia mi ha posto sempre più frequentemente negli ultimi mesi. Che nesso ha con la preghiera? Apparentemente nessuno, ma  nella sostanza segue un semplice modello che parte dall’osservazione e dalla  curiosità, attraversa l’imitazione e approda all’azione.  
Prima di pormi questa domanda, ho notato che mi fissava per qualche minuto mentre preparavo qualcosa e armeggiavo con piatti e stoviglie, poi ha preso la sedia, l’ha avvicinata alla penisola, si è alzata le maniche ed ha esordito esclamando «Anche io!». In quei momenti, presi dalla fretta e dalla voglia di portare a termine, nel più breve tempo possibile, quello che si sta facendo, siamo portati a rimandare alla prossima volta, a dire che è tardi, che è difficile, che non è possibile e l’espressione che ci ritroviamo davanti è quella di un bambino deluso. In fondo, non ci sta chiedendo di sostituirsi a noi, ma di fare qualcosa “con” e “come” noi. E così, sono passata io ad osservare lei: compiva gli stessi miei gesti ma con un modo tutto suo, canticchiava proprio come me, ma lo faceva con le sue canzoncine preferite. Non si trattava di semplice imitazione ma di una personale interpretazione di quello che mi vedeva dire e fare.

“Le parole insegnano, gli esempi trascinano” (S. Agostino)

E con questa consapevolezza ho iniziato a pregare anche sul divano in salotto e poi sul tappeto dei giochi, ritagliandomi comunque dei momenti di preghiera solitaria e soprattutto silenziosa. Cosa è accaduto?  All’inizio sono stata quasi ignorata, o meglio osservata, ma il loro gioco continuava indisturbato. Poi man mano, senza chiedere nulla e sempre mentre giocavano, mi sono accorta che a tratti ripetevano alcuni stralci di preghiere, magari quelle che avevano memorizzato meglio e la piccolina, di quasi due anni, si limitava a dire solo “Amen”, ma al momento giusto. Fino a quando qualche settimana fa mi è arrivata una domanda-richiesta inaspettata «Posso stare qui con te a pregare?». Non puoi che rispondere affermativamente. Ma comincia ad essere una preghiera più frammentata, perché si riempie di “come si dice?”, “ma cosa vuol dire?”, “perché si dice così?” e così via, fino ad una osservazione che, da mamma, mi ha fatto tanto riflettere: «Perché non ci racconti come sono andate le cose?».
In quel momento due sensazioni. La prima di serenità, la seconda di inadeguatezza. Ti domandi come fare a spiegare qualcosa che a tratti non è chiaro neanche a te, che tu per primo devi approfondire. E così ti ritrovi a leggere, a meditare, a conoscere storie di vita che senza quella domanda probabilmente non avresti mai avuto modo di conoscere. Per raccontare devi prima far tuo e poi esporlo in modo che i bambini possano capire. E semplificare, in alcuni casi, è molto più difficile di quanto si possa immaginare.
La preghiera dei bambini è curiosa e non può assolutamente essere definita noiosa. È una preghiera che prima di fidarsi ha bisogno di sperimentare, di capire, di approfondire e di vedere. Sì, di vedere. Ha bisogno di immagini, di colori, di toccare con mano la verità delle parole. E di ritrovare nel nostro sguardo una guida sicura. Spesso le loro domande sono così particolari che non si riesce a rispondere, in qualche modo penetrano il Mistero e ci giungono dritti, proprio come una freccia il suo bersaglio. Non è raro che da una loro frase o constatazione noi adulti riusciamo a scorgere quel qualcosa che tanto abbiamo cercato e ricercato.


Affinchè questo sia possibile è necessario condividere del tempo insieme, anche nel complicato groviglio di impegni quotidiani. Alle volte possono essere anche solo cinque minuti, ma dipende da quanto realmente tutta la famiglia ci tiene a quel momento. Tutta la famiglia: soffermiamoci un attimo sull’importanza dell’intero gruppo famigliare. Mamma e papà insieme, anche se non è sempre possibile, rappresentano visibilmente l’amore e proprio quell’amore sarà il parametro con cui i bambini misureranno tutto il resto, la verità tangibile che rende reale e concreto l’Amore più grande. L’esempio è senza dubbio la via migliore, più sincera ma anche la più complicata; di certo è più facile dire che fare, è più semplice mettere in fila belle parole che collezionare azioni ammirevoli, è più comodo delegare al bambino la preghiera della sera che mettersi lì a gambe incrociate, con costruzioni sparse qua e là, pezzi di puzzle come contorno e bambole e robot che ti guardano, ma la con-fidenza e la con-divisione di questi momenti hanno davvero il sapore della Gioia vera, si fanno da soli preghiera.

“Un grammo di buon esempio vale più di un quintale di parole” 
(S. Francesco di Sales)



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