«Figlia
mia, per poter andare avanti, per far crescere una famiglia, occorrono tanti
sacrifici. Sono così tanti che non li ricordo nemmeno tutti!». Queste parole riecheggiano dentro di me, quasi
tutti i racconti di una vita intera, terminavano così. Nonna Rosa, dopo più di sessant’anni
di matrimonio, figli, nipoti e pronipoti, sembrava avere vivi i ricordi dei
suoi sacrifici. Il più delle volte non si trattava di racconti di fatti
straordinari o di imprese epiche, ma di eventi quotidiani, a prima vista banali
e dal sapore antiquato ma che avevano come comune denominatore quel “sacrificio”.
Di certo, prospettare un futuro
di sacrifici a chi sta per intraprendere la strada del matrimonio, a chi l’ha
appena imboccata o a chi già ne sente i primi pesi, non è il meglio che si
possa desiderare ed immaginare. Ma ciò che ha cambiato questa prospettiva
negativa ed infausta è stata la scoperta del significato originario di questa
parola.
Il termine sacrificio è
riconducibile all’unione dell’aggettivo sacer
e del verbo facio che significano
letteralmente rendere sacro. Ripensare
a tutte quelle vicissitudini con una nuova luce, un’altra e più interessante
interpretazione apre il vero scenario dell’essere uomo e dell’essere donna,
della precisa missione che ognuno di noi è chiamato a compiere durante la
propria esistenza. Rende sacro un risveglio all’alba, la fatica di una giornata
di lavoro, notti insonni, la preoccupazione di un genitore.
Ma cosa vuol dire rendere sacri i
nostri gesti e impegni quotidiani? Significa renderli degni di assoluto,
scoprire l’orizzonte di infinito e di amore che essi celano. È nei sacrifici
quotidiani che raggiungiamo le vette più alte, nella contingenza che ci appare
lo straordinario.
E non è, forse, in e per la
famiglia che compiamo i nostri più grandi sacrifici?
“Per
me bastava anche la vista dei campi, dell'acqua, dei fiori: cose che mi
ricordavano il Creatore, mi scuotevano, mi raccoglievano, mi servivano da
libri.”
(S.
Teresa d'Avila)
Davanti a questa riflessione di
S. Teresa d’Avila occorre domandarsi: la mia famiglia mi ricorda il Creatore?
Il mio matrimonio mi ricorda il Creatore? La sua bellezza? Il suo amore
incondizionato? La sua perfezione? È la nostra vita che deve imparare a farsi
altare, luogo privilegiato dei sacrifici.
Non essere più abituati ai
sacrifici, cercare di evitarli a tutti i costi, rende a prima vista più
vivibile la vita, più desiderabile, come una di quelle cartoline che ci
presentano luoghi da sogno dove tutto è possibile senza il minimo sforzo, come
le pubblicità di alcuni intrugli dimagranti che promettono di far perdere peso
continuando a mangiare senza misura. E poi? Si fa presto a scoprire che quella
è solo un’illusione di vita, forse il suo riflesso.
Quale vera missione ha soli
percorsi in pianura, senza il minimo ostacolo? Nessuna! La nostra vera missione
è quella di comprendere il valore dei nostri sacrifici, di saperne gustare i
risultati, per nulla scontati, come un padre di famiglia fuori casa dalle prime
ore del mattino, quando alla sera riapre la porta e si ritrova incollati
addosso gli sguardi della moglie e dei figli: quel sacrificio ritrova
finalmente il suo senso, il suo orizzonte infinito, in quell’amore che supera
il sacrificio stesso!
“Perché
il male nel mondo? Sta bene a sentire… C’è una mamma che sta ricamando. Il suo
figliuolo, seduto su uno sgabelletto basso, vede il lavoro di lei; ma alla
rovescia. Vede i nodi del ricamo, i fili confusi… E dice: “Mamma si può sapere
che fai? È così poco chiaro il tuo lavoro?”! Allora la mamma abbassa il telaio,
e mostra la parte buona del lavoro. Ogni colore è al suo posto e la varietà dei
fili si compone nell’armonia del disegno. Ecco, noi vediamo il rovescio del
ricamo. Siamo seduti sullo sgabello basso.” (S. Padre Pio)
Se guardiamo ai sacrifici come a
dei fili confusi, non comprenderemo mai il ricamo della nostra missione,
osserveremo sempre e solo il suo rovescio. Dobbiamo provare a sbirciare da
quello sgabello e ne scopriremo il
senso.
Maria Marzolla
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