Un tempo, le
religioni erano legate ognuna a uno suo spazio, una sua nazione e una sua
cultura. L’induista viveva in India, il musulmano nei paesi arabi e qualche
paese d’Oriente. Un tempo. Oggi, la situazione è cambiata. Ora, un solo
condominio può essere un universo plurale dove si trovano il musulmano, il
cristiano, l’induista, l’ateo, ecc.
Ci sono piccoli
mondi che convivono, si scontrano, si guardano sospettosi o curiosi. L’identità
di ognuno è continuamente in fase di costruzione e di ricostruzione e la
teologia delle religioni si trova davanti a una sfida importante per
autocomprendersi e per comprendere l’altro.
La teologia
cristiana del pluralismo religioso si pone come oggetto di capire l’esistenza
delle altre religioni: sono volute da Dio? Partecipano della verità cristiana? Svolgono
un ruolo nell’economia della salvezza?
Classicamente, gli
approcci delle teologie delle religioni sono state classificate in tre
categorie: esclusivista, inclusivista e pluralista. L’autore del volume Dio
al plurale. Ripensare la teologia delle religioni, il domenicano Rémi
Chéno, ci presenta invece quattro esemplari: l’approccio esclusivista di Karl Barth,
l’approccio inclusivista di Karl Rahner, l’approccio pluralista e l’approccio
post-liberale.
Karl Barth
Si dice che la
posizione esclusivista sia una posizione ecclesiocentrica, di una Chiesa
trionfante, eppure, il teologo esclusivista in questione è il primo a criticare
la Chiesa. È il primo a denunciarne l’arroganza e l’indegnità. Karl Barth
prende le distanze dalla teologia liberale che ha studiato, una teologia che
tenta di adattare il cristianesimo alla cultura circostante.
Barth prende
spunto dalle affermazioni di Paolo: «Infatti non c’è differenza, perché tutti
hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm 3,22-23). Dinanzi al
giudizio di Dio, tutti sono peccatori. Per lui, la Chiesa è solo un tentativo
disperato di autogiustificazione dell’uomo. «In essa – scrive Barth – si
esprime la totale duplicità di significato della natura e della cultura umana.
[…] la Chiesa è senza dubbio il luogo dove l’inimicizia dell’uomo contro Dio si
manifesta, dove la sua indifferenza, la sua incomprensione, la sua resistenza
raggiungono la loro forma più sublime e anche la loro forma più ingenua».
Non appena la
Chiesa annuncia, questa stessa parola che essa annuncia la condanna. Mediante
la Parola di Dio, la Chiesa è rinviata al suo non-essere.
Il cristianesimo
è la vera religione nella misura in cui sta sotto il giudizio di Dio in Cristo
e non nella misura in cui produce ricerca su Dio. Quindi, Barth non mette il
cristianesimo su un piedistallo, perché è solo per grazia che è vero. Quindi,
l’esclusivismo di Barth non è intollerante.
Barth non ha una
teologia delle religioni e del pluralismo religioso, ma una teologia della
religione che taglia l’albero alla radice.
In Barth vi è un esclusivismo
cristologico: non c’è salvezza fuori da Cristo. C’è esclusivismo rivelazionale:
non c’è vera rivelazione di Dio se non in Cristo. Ma non c’è esclusivismo
escatologico perché equivarrebbe a limitare la volontà salvifica di Dio.
Karl Rahner
La visione di
Rahner è inclusiva. Possiamo dire “teocentrica”. La sfida per Rahner è quella
di conciliare l’affermazione di una presenza graziosa di Dio nelle altre
religioni (o negli altri credenti) e quella del posto centrale, definitivo e
irrevocabile di Gesù Cristo come autocomunicazione di Dio agli uomini.
Dio è amore. Con
il suo amore Dio vuole raggiungere tutti gli uomini. Difatti, ogni uomo, creato
da Dio, è “sempre già” aperto a Dio e alla sua Parola. In ogni uomo c’è
un’apertura trascendentale. È un potenziale uditore della Parola. La nostra
natura umana è sempre già graziata. È quello che Rahner chiama un «esistenziale
soprannaturale».
Rahner vede gli
uomini come esseri finiti capaci dell’infinito. E, attraverso queste
esperienze, è un cammino che si apre per tutti fino a Dio. Tuttavia, la figura
di Gesù Cristo è un punto di passaggio inevitabile. È la seconda affermazione
che occorre tener presente insieme a quella dell’esistenziale soprannaturale
presente in ogni uomo. Ogni grazia è
grazia di Cristo.
Cristo è
l’iscrizione nel tempo e nello spazio, nella storia degli uomini, di ciò che è
sempre già presente nel cuore di ogni essere umano.
Rahner utilizza
l’idea di un «dinamismo di incarnazione». Questa nozione fa riferimento al
principio secondo cui la natura interiore e la dinamica della grazia richiedono
un’oggettivazione nella struttura sociale della vita umana. Per questo la
grazia che opera nel non-cristiano cerca la sua oggettivazione corretta
mediante il proprio orientamento dinamico, quello della sua religione, là dove
i cristiani affermano che può trovarla perfettamente solo in Cristo e nella
Chiesa.
Le teologie
pluraliste
Nonostante la sua
apertura, la visione di Rahner risulta troppo stretta per i pluralisti. Per
questi, Gesù non esaurisce la figura di Cristo, ma è una delle sue
manifestazioni. È una manifestazione privilegiata, ma non unica.
Tra questi
teologi abbiamo John Hick e Paul Knitter. Quest’ultimo, più che pluralista
preferisce essere annoverato tra i teologi mutualisti, i quali hanno la
coscienza di operare una rivoluzione copernicana, cambiando totalmente la
visione delle cose: non vedono più il cristianesimo al centro del loro modello,
ma esso si pone alla pari con le altre religioni come una di esse.
Quanto a Gesù:
«Si tratterà sempre di concedere uno status eminente a Cristo, ma senza
riservargli tutte le forme di preminenza». Hick suggerisce di sostituire all’espressione
latina Jesus totus Deus (Gesù è totalmente Dio) un’espressione molto simile, Jesus totum Dei (Gesù è
il tutto di Dio), che non comporta l’esclusivismo della prima.
Così anche il
gesuita Raimon Panikkar abbandona l’identificazione tra Cristo, simbolo
universale, e Gesù, il figlio di Maria, per distinguere tra due affermazione: «Gesù
è il Cristo», «il Cristo è Gesù», rifiutando la seconda. Il Cristo – per Panikkar
– è più che Gesù. Il Cristo ha altre manifestazioni nella storia.
Le teologie
post-liberali
Quanto alle
teologie post-liberali, esse criticano la pretesa del punto prospettico neutro
enunciato dalle teologie pluraliste ritenendo che è impossibile tirarsi fuori
dalla propria tradizione. «Siamo degli esseri umani, inseriti in una cultura e
in pratiche che ci plasmano».
Così, ad esempio,
George Lindbeck insiste sulla particolarità assai concreta di ogni religione,
su ciò che la differenzia dalle altre ed evidenzia così due dimensioni
importanti: l’incommensurabilità e l’insuperabilità di ogni esperienza (religiosa).
Ogni religione ha i suoi modi di vivere e stili di vita che la
contraddistinguono e questi modi di vita non sono declinabili con i modi e gli
stili di altre religioni.
Valutazione
finale
Il libro di Chéno
ha il merito di essere un ottimo testo divulgativo che presenta con grande
chiarezza e semplicità delle visioni note solitamente per essere complesse
(specie quella di Barth e di Rahner). Il testo, inoltre, offre una panoramica su
alcune posizioni teologiche riguardo al tema del pluralismo. È chiara
nel testo l’opzione più “progressista” dell’autore il quale, a parte la visione
ristrettiva di Barth, non presenta nessun’altra visione esclusivista o
inclusivista cristologica. Sarebbe stato auspicabile accennare alle visioni di
de Lubac, Daniélou, von Balthasar (Cordula), per menzionare solo alcuni autori
di spicco.
Robert Cheaib
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