Come cristiani
“confessionali” siamo solitamente abituati ad essere molto – troppo – discreti
sulla nostra fede. L’autore del libro Uscire allo scoperto. Perché nonbisogna nascondere la propria fede, Mauritius Wilde, un monaco
benedettino dell’Abbazia tedesca di Münsterschwarzach e attuale priore del
sant’Anselmo a Roma, inizia la riflessione con un episodio curioso che fa
capire il “troppo” della nostra discrezione. Stava muovendo i primi passi nella
direzione della casa editrice del suo monastero e durante una Fiera del Libro a
Francoforte decise di essere discreto presentandosi in borghese. Lì, alla
Fiera, incontra un monaco in saio marrone. Voleva salutarlo calorosamente
quando si accorse che non era affatto un monaco, bensì un «eyecatcher», uno che
attira lo sguardo verso il proprio stand. Questo contrasto che costituì
«un’esperienza chiave» per l’autore apre tutta una riflessione che combina il
dato biografico al dato riflessivo per mettersi in discussione e riflettere sul
vivere il proprio mandato missionario come battezzato.
Il libro
argomenta che rimanere nella fede e «mostrare» la fede vadano di pari passo. Ma
mostrare la propria fede non implica necessariamente essere degli stalker di
Dio o sentirsi addosso la responsabilità di evangelizzare tutto il mondo senza
interruzione e senza criterio.
Per questo, il
viaggio proposto dall’autore riprende diverse istanze bibliche ed esperienziali
per coniugare il compito missionario. Tra i passi che l’autore sviluppa, abbiamo
quello della missione dei settantadue (Lc 10). L’autore si sofferma sui
dettagli del testo biblico dove notiamo una missione non riservata solo ad
alcuni “professionisti” del cristianesimo, ma a tutto il popolo – laos –
che segue Gesù, quindi a chierici e laici insieme.
Ma oltre al
mandato, ci sono specifiche cruciali nello svolgimento del compito missionario:
«Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti
a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi».
«A due a due»
implica che il cristiano è missionario nel seno e nel cuore della Chiesa, in
comunione con i fratelli.
E l’inciso «li
inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi»
è confortante. Di esso dice l’autore: «Ciò limita al massimo il nostro ruolo in
quanto inviati: noi non partiamo di nostra iniziativa – è lui che ci manda. Noi
non andiamo dove vogliamo – è lui a stabilire la meta. Trovo tutto questo un
pensiero incredibilmente confortante. Mi toglie delle responsabilità, ma
insieme conferisce al processo una dignità e una bellezza particolari: sono
infatti incaricato di mettermi al servizio dell’incontro tra Dio e l’uomo».
La riflessione
sul perché non bisogna nascondere la propria fede ha diversi motivi umani e di
fede, ma soprattutto ha un fondamento teologico: «Dio non ama nascondersi, ma
al contrario mostrarsi. E si manifesta in Gesù: se guardiamo negli occhi di
Gesù, vediamo Dio. Se vediamo il suo modo di agire, riconosciamo Dio. Se lo
sentiamo parlare, ascoltiamo Dio» (41). Il cristiano, nella sua missione, ha il
compito di imitare e di manifestare il Cristo, vedendo il quale si vede il
Padre.
Robert Cheaib
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