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«La nascita di
Gesù è l’inizio della sua morte». Era depresso Rahner quando scriveva queste
parole? Credo sia stato semplicemente realista e questo realismo rispecchia
quello che la tradizione ha sempre associato alla nascita del Salvatore: non è una
festa ingenua che pensa solo alla nascita, ma una festa realista che pensa a
tutto il mistero di Cristo: nascita, vita, morte e risurrezione.
Di questa
tradizione, l’iconografia conserva l’assocazione tra il Cristo che nasce e il Cristo sepolto.
Le fasce del neonato sembrano quelle del Cristo sepolto.
A che pro? Non era
meglio avere una festa senza ombre?
Pongo la domanda
con altre parole: che cosa avremmo potuto fare di un Dio che condivide solo le
stagioni belle della nostra vita? Come avrebbe redento ciò che non ha assunto?
Non a caso, il
Natale viene seguito da alcune feste non proprio allegre: il primo martire,
santo Stefano, i bambini innocenti, san Giovanni evangelista (mancato martire…
almeno agli occhi degli uomini, ma martire dell’amore di Cristo in realtà in
una confessione di Cristo, del suo comandamento nuovo, fino alla morte).
A che pro allora?
Perché solo il
Dio che condivide la nostra vita mortale dona senso al vivere, al morire; solo
il Dio che diventa uomo, veramente uomo, può divinizzarci senza snaturarci.
Vi lascio con il
testo di Rahner di cui avevo citato solo una frase in apertura.
icona: Suor Pierpaola Nistri, figlie di santa Chiara pierpaolagreen@gmail.com
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