La parola mistica è troppo
usata, abusata. Essa è stata acquistata e svenduta da tante esperienze. La si
trova quando si parla di opere d’arte, davanti a un testo particolarmente “trasportante”,
la si usa per parlare di esperienze sensoriali forti. In breve, e come fa
notare Max Huot de Longchamp all’inizio del suo testo “Cos’è la mistica”, essa «ha
perso la sua precisione da due secoli in qua, cioè da quando i Romantici
l’hanno applicata al complesso irrazionale che attribuivano all’esperienza
religiosa».
Nell’opera appena
menzionata curata in edizione italiana da Antonino Raspanti, la parola mistica
è usata nel suo significato cristiano più classico, «quello di una percezione
particolarmente lucida del mistero di Dio: così è entrata nel vocabolario
cristiano con Clemente Alessandrino nel secolo II, per designare lo svelamento
almeno parziale della “nostra vita nascosta con Cristo in Dio” (Col 3, 3)».
Il libro
costituisce allo stesso tempo un saggio introduttivo e accessibile e un’antologia
di testi e di esperienze. L’opera inizia con un ascolto attento ad alcuni “abitanti”
dell’universo mistico-ordinario, affinché rivelino la loro esperienza, in modo
da sapere di cosa stiamo parlando (cap. 1). A partire da lì si procede a un
ascolto delle domande che questo tipo di esperienza pone all’intelligenza
cristiana. Le principali tra queste domande sono le seguenti:
- Come e perché i
mistici condividono la loro esperienza con noi (cap. 2)?
- Qual è il posto
dei mistici nella Rivelazione cristiana (cap. 3)?
- Come verificare
l’autenticità della loro esperienza (cap. 4)?
- Come
comprendere i fenomeni quali visioni, stigmate, levitazione, ecc., che a volte
accompagnano l’esperienza mistica (cap. 5)?
Come invito alla
lettura ci soffermiamo brevemente al primo capitolo il quale si apre analizzando
la fulminia conversione di Paul Claudel. Se il testo mostra qualcosa, esso
manifesta l’imprevedibilità e indeducibilità dell’opera di Dio. Quando
esploriamo le esperienze di conversione mistiche, veniamo confrontati dalla «rottura
con il flusso ordinario della vita mentale, potenza del sentimento di presenza,
luce e forza allo stesso tempo, certezza».
In poche parole,
c’è una «irruzione di Dio» nella storia dell’uomo. L’A., infatti, cita Bernardo
che confessa timidamente la sua esperienza di Dio: «Confesso che la Parola si è
manifestata anche a me, e a più riprese. Spesso è entrata in me, ma non ho mai
sentito questa entrata. Ho sentito che era lì, me ne ricordo; e ho anche potuto
presentire il suo arrivo una volta o l’altra, ma non lo sentivo, non più della
sua partenza. Da dove sia venuta, per dove sia ripartita abbandonando la mia
anima, da dove sia passata per entrare o uscire, ammetto che ancora lo ignoro,
come è scritto: «Non sai da dove viene o dove va» (Gv 3, 8)».
Tra Claudel e
Bernardo notiamo un cambio di tono, da Bernardo l’irruzione non è irruenta, ma
discreta, contemplativa, da rintracciare e da ascoltare. E queste due esperienze
mostrano, proprio nella loro diversità, l’ampiezza di quanto racchiude il
termine “mistico”.
L’A. Conclude il
capitolo definendo così la mistica: essa è «una presa di coscienza
particolarmente netta della presenza attiva di Dio in colui in cui essa si
rivela» (p. 16).
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