In questo tempo di Avvento, mi sono fatto accompagnare nella lettura dei testi del vangelo che la liturgia proponeva da un commentario recente del vangelo secondo Luca firmato dall’esegeta, don Antonio Landi, per i tipi della Queriniana. Il volume consta di 856 pagine e consta di un’ampia introduzione e di tre sezioni. L’introduzione generale risponde a diverse questioni basilari come l’identità dell’autore, il suo profilo, i testi che ha scritto e le fonti a cui ha attinto, il contesto, i destinatari e la finalità del suo evangelo. Le tre altre sezioni del testo sono la traduzione e il commento al vangelo. La traduzione è fornita dall’autore stesso e quindi si discosta un po’ dalla traduzione liturgica in uso.


Dopo un commento al proemio dell’opera lucana (Lc 1,1-4), l’A. suddivide il vangelo in tre sezioni: la prima (Lc 1,5-4,13) copre la nascita e la formazione del messia; la seconda (Lc 4,14-21,38) le opere del messia; la terza (Lc 22,1-24,53) la morte e la risurrezione del messia. Ogni pericope segue lo stesso ritmo: Testo (ovvero la traduzione della pericope fatta dall’A.), delimitazione e articolazione del brano che fornisce i dettagli tecnici rilevanti del brano e, infine, il commento. Il tutto in uno stile molto sobrio e pedagogico, abbondantemente documentato e accessibile non solo agli specialisti ma a quasi qualsiasi lettore.

Non intendo fare una recensione da esegeta (che non sono), ma fare una semplice condivisione personale in dialogo con il testo. La mia scelta di fare questa lettura, infatti, è stata dettata non da interessi esegetici particolari, ma da due (anzi tre, essendo il terzo una lacuna prettamente soggettiva!) spunti personali.

Il primo è il bisogno di guardare i testi biblici con occhi nuovi, anzi, rinnovati. Tante volte, e senza volerlo, si legge il testo biblico con lo stato d’animo del déjà vu. Il testo è noto, stranoto e per questo non viene riconosciuto. Leggerlo con l’attenzione di un esegeta che si sofferma sui vari dettagli è un buon modo per rieducare lo sguardo a vedere e a ri-conoscere.

Il secondo motivo è dovuto al fatto che tanto la meditazione personale che l’omiletica, vanno troppo veloce verso il senso spirituale, anzi, ahimè, sovente nemmeno a quello, ma a un senso morale, alla lezioncina per la vita personale che il lettore vorrebbe tirare fuori dal testo. Per questo, il secondo motivo della mia lettura (e del mio invito alla lettura) è ricordare che il senso letterale è il fondamento indispensabile di ogni altra lettura. Se vi è un senso spirituale nel testo, esso non sussiste a prescindere, ma grazie al senso letterale. Restano attualissime le riflessioni proposte a tal proposito dal documento L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993) della Pontificia Commissione Biblica:

«Non è solo legittimo, ma indispensabile cercare di definire il significato preciso dei testi come sono stati composti dai loro autori significato che è chiamato “letterale”. Già san Tommaso d'Aquino ne affermava l'importanza fondamentale (S. Th., I, q. 1, a. 10, ad 1) […] Il senso letterale della Scrittura è quello espresso direttamente dagli autori umani ispirati. Essendo frutto dell'ispirazione, questo senso è voluto anche da Dio, autore principale. Lo si discerne grazie a un'analisi precisa del testo, situato nel suo contesto letterario e storico. Il compito principale dell'esegesi è proprio quello di condurre a questa analisi, utilizzando tutte le possibilità delle ricerche letterarie e storiche, al fine di definire il senso, letterale dei testi biblici con la maggiore esattezza possibile».

Il terzo motivo, molto soggettivo, è che mi sono accorto nel tempo di leggere spesso e volentieri dei commentari su Giovanni e molto raramente se non quasi mai sugli altri evangelisti. Guardare il vangelo di Luca con maggiore attenzione e fare attenzione ai suoi dettagli e alle sue ricchezze ha dato a quest’avvento colori diversi.




Robert Cheaib
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